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"Manchester by the sea", il Film recensito da Lara Fabbrizzi!


Eccoci,

a pochi giorni dalla

notte degli Oscar mi ritrovo ad avere l’irrefrenabile voglia di vedere un film che ha ricevuto molte nomination.

A dire il vero ho sempre avuto una certa idiosincrasia nei confronti della statuetta americana.

Durante gli anni universitari, animati da cinema d’essai, retrospettive su Tarkovskij, Bunuel e Godard tanto per citarne alcuni, ero convinta che i film premiati in quella notte, farcita di avanspettacolo e luci della ribalta, fossero tutti da scartare.

Per fortuna sono “cresciuta” e forse grazie anche alla saggezza tipica dei quarantenni ho cominciato ad ampliare i miei orizzonti e menomale!!!

Il film di cui vi parlo è:

Manchester by the sea.

Non svelerò la trama perché i più curiosi tra di voi saranno già a guardarsi il trailer e agli altri riservo la sorpresa.

Piuttosto la domanda che mi è sorta fin quasi da subito è:

possibile sopravvivere a dolori strazianti e provare a voltare pagina?

La risposta che emerge da questo film è la storia stessa, la vita del protagonista, un Casey Affleck che definire superlativo è dire poco.

Ma è proprio su di lui e con lui che tutto inizia, attraverso immagini algide ma al tempo stesso cariche di pathos e calore perduto, che ci raffigurano un luogo del Massachusetts in cui la natura ha il sopravvento sull’uomo.

E’ tale la carica del luogo da scandire anche gli eventi umani, la sepoltura di uno dei personaggi “presente/assente”nel film, deve attendere che la terra sia pronta ad accoglierlo, si deve aspettare la stagione propizia, la primavera.

Ma non andrò oltre nella trama.

Questo film riassume la disperazione, l’impossibilità di cambiare gli eventi, l’incapacità di cancellare il passato e superare il presente ma lo fa con una compostezza e una forza tali da impedire facili piagnistei.

Emerge, attraverso gli occhi assorti e ormai incapaci di brillare del protagonista, tutto lo strazio interiore, che avvolge anzi direi avviluppa lo stomaco rendendo però indietro una compostezza che riesce quasi a rassicurare.

Lonergan, il regista, nelle due ore e diciassette in cui mi ha tenuta bloccata nella poltroncina rossa del solito cinema di nicchia, è riuscito ad entrarmi dentro senza squarciare ma aprendo la cinepresa al dolore di un uomo che ci fa vivere e rivivere il suo passaggio in uno spaccato di terra che ci è ostile ma che al tempo stesso è forse l’unica salvezza possibile.

Che dire di più, forse solo che mi auguro vivamente che il fratello “bravo” di Ben Affleck possa ricevere la fatidica statuetta.

Lara Fabbrizzi.

Critica per caso

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